La sentenza n° 841 del 20/02/2018 della Corte d’Appello di Venezia afferma che è illegittima la condotta della società che non computa i periodi di assenza della lavoratrice per maternità e congedo parentale nell’anzianità di servizio.
Tale condotta, immotivatamente discriminatoria nei confronti della dipendente, viola la normativa interna e comunitaria.
Il periodo di astensione per il congedo parentale vale a tutti gli effetti per l’avanzamento di carriera automatico previsto dalla contrattazione collettiva.
Secondo la Corte, infatti, la disposizione del CCNL va interpretata alla luce del quadro complessivo delineato in materia dalle norme interne e comunitarie, nonché dalle pronunce pervenute dai vari organi giudiziari superiori.
La Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha dato interpretazione della Direttiva 2006/54/CE con la sentenza 595/2014:
- è vietata qualsivoglia discriminazione professionale collegata alla gravidanza o al congedo fruito in seguito alla maternità;
- la prestatrice madre ha diritto a beneficiare, una volta rientrata al lavoro, degli eventuali miglioramenti che le sarebbero spettati durante l’ assenza per congedo parentale.
Il Testo Unico contenuto nel D. Lgs. 151/2001, inoltre, prevede testualmente all’art. 22 che «i periodi di congedo di maternità devono essere computati nell’anzianità di servizio a tutti gli effetti».
La suddetta clausola collettiva deve riferirsi, alla luce di ciò, in ordine ai periodi necessari da computare per la progressione di carriera. Non a quelli di effettivo servizio, ma più semplicemente a quelli di mero servizio.
Diversamente, si discriminerebbero le lavoratrici madri rispetto sia ai colleghi uomini che alle colleghe donne senza figli.
Il Collegio veneziano, pertanto, ha respinto il ricorso proposto dalla società – e confermato la discriminatorietà della sua condotta.
